lunedì 10 giugno 2013

Il "fentasy", ovvero la morte del fantastico

No, non ho fatto un errore di battitura. La "e" di "fentasy" è voluta e ci sta tutta. Di che cosa sto parlando? E' presto detto.
Vi siete fatti un giro nelle librerie negli ultimi tempi? Intendo quelle grosse, tipo le Feltrinelli o le Mondadori. E più nello specifico, vi siete aggirati nei settori del fantasy? Ma sì, quei lunghi scaffali che un tempo erano relegati agli angoli bui, possibilmente sotto le scale, e che adesso occupano un intero corridoio, anche se spesso ancora non fanno distinzione tra fantasy e fantascienza? Oh, bene, partiamo proprio da questo improvviso allargamento, iniziato qualche anno fa. Non è sospetto?
Ecco, per l'appunto. Guardate bene quei titoli, leggete la quarta di copertina, magari date una scorsa a qualche pagina. E vi troverete di fronte a delle immani schifezze. Il lato più seccante di ciò? E' che generalmente i titoli peggiori sono di autori italiani.
Ora, il fantastico da noi ha sempre avuto una vita dura. Prima ignorato, poi deriso, poi ghettizzato e ora orribilmente "violentato" da una massa di tizi - spesso con età non superiori ai vent'anni, giusto per ribadire che in fondo il fantastico è pur sempre roba da bambini o ragazzetti - che definire scrittori è quasi una bestemmia. Non che anche all'estero non vi sia della suprema immondizia, questo è certo. Però in quel caso o si tratta di romanzi ambientati in universi molto specifici e spesso legati a giochi o film (serie nelle quali titoli mediocri si alternano ad opere oggettivamente interessanti, come nei romanzi di Star Trek, Guerre Stellari o Battletech), o comunque si riesce a mentenere un livello sintatticamente e grammaticalmente accettabile.
Da noi no. Da noi il 90 per cento della letteratura fantastica di produzione nazionale - un fenomeno prettamente commerciale, esploso dopo il successo della trilogia cinematografica del Signore degli Anelli e proseguito dopo serie come Harry Potter o Twilight, non solo non è di grande livello, ma è proprio scritta male. In un italiano sciatto, non corretto, di difficile comprensione. E le ambientazioni sono pure peggio, inni al favolistico stupideggiante (e alcuni osano a paragonarsi a mostri sacri come Ende o Lewis), con regni che paiono presi di forza dal più banale dei giochetti online che ci assillano su Facebook.
Ecco dunque a voi l'italico "fentasy".

Le orecchie a punta, divenute curiosamente punto di incontro tra fantasy e  fantascienza. La concezione del fantastico di molti autori di "fentasy" italiana non vanno tanto al di là di questo.

Che prima mi fa anche ridere, ma poi mi fa arrabbiare. Molto. Per due motivi.
Primo, la mancanza di rispetto. In vita mia ho letto molte opere di genere fantastico. Alcune belle e alcune brutte. Ma in nessuna di esse io venivo preso per i fondelli perché lettore del fantastico, e quindi prono ad accettare incongruenze logiche, contraddizioni interne, insulsa banalità dei personaggi. Perché alla fine della lettura di uno di questi testi (no, nomi non ne farò... tanto la situazione è così generalizzata che farei davvero prima a citarvi le eccezioni) io mi sento preso in giro da editing di pessima qualità, mappette assortite con le distanze messe a caso, lingue composte da y ed h mescolate alla come viene, background delle popolazioni fatti con lo stampino o evidenti superficialità nella composizione del testo e della storia. E alla fine, proprio perché cercando in giro è ancora possibile trovare del buon fantastico, sia tra i classici che tra i nuovi autori, io non me la bevo più la favoletta del fantastico italiano che muove i primi passi. Non concedo più l'attenuante della buona fede né agli editori, palesemente alla ricerca di nuove fonti di introiti facili che seguano la moda del momento (prima gli elfi, po i maghetti, poi i vampiri, poi gli angeli, ora gli zombie...), né tanto meno agli autori che infilano svarioni su svarioni perché sì, perché tanto è il fantastico e possiamo fare quello che vogliamo, il contenuto non è poi così importante. Vadano a leggersi gente come Asimov, Heinlein, Bradbury, Dick o perfino lo stesso Martin (che non eccelle in quanto a sostanza...) e poi ne riparliamo.
Secondo, l'arroganza. Perché secondo questi signori scrivere il fantastico è forse più facile, più accessibile, mentre è vero esattamente il contrario. Perché ritengono che nel fantastico non vi siano regole - ed è falso - come anche nella scrittura in fondo non vi sia alcuna tecnica da imparare - e questo invece è ridicolo - perché se usi la testa non segui più il cuore e quindi non sei più "fentasy". E così ci si bruciano opportunità incredibili, visto quanto poderoso è l'immaginario collettivo di questo Paese, quanto la tradizione mediterranea potrebbe dare al fantasy (quello vero) e quanto grande sia l'importanza della scienza in questo Paese (nonostante i suoi abitanti...). Se ci sono corpi celesti che portano il nome di Galilei, Cassini o Fermi un motivo ci sarà, no? O sarà un caso che l'asteroide Cerere, il più grande della fascia principale tra Marte e Giove, avesse come secondo nome Ferdinandea in onore di Ferdinando I delle Due Sicilie, visto che era stato scoperto nel 1801 da Giuseppe Piazzi? (Piccolo auto-spoiler: ricordatevi di Cerere e di Ferdinandea, perché li incontreremo spesso nei miei racconti di Radiant).

Ferdinando I di Borbone (1751-1825). D'accordo, come re non sarà stato il massimo, ma la soddisfazione di avere un asteroide nominato in suo onore se l'è tolta.

Ecco, dunque, i motivi della mia sincera rabbia nei confronti di queste persone, sia come lettore che come scrittore seppur solo dilettante. Perché il fantastico è un'altra cosa.
Il fantastico non è, e non sarà mai, il "fentasy".

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