venerdì 21 giugno 2013

Nel bel mezzo di un gelido inverno...

No, non sono impazzito. E non vivo in Alaska, ma in una torrida Roma dove tra un po' dai "nasoni" verrà fuori acqua bollente tanto fa caldo.
L'inverno a cui mi riferisco è il tempo che ci sto mettendo a scrivere un nuovo racconto per la mia serie di Radiant. O meglio, il tempo e la concentrazione che nelle ultime settimane non ho e che non riesco a dedicare alla scrittura. E nel mezzo di questa desolazione, proprio mentre ho ripreso a lavorare sul nuovo racconto, arrivano gli esiti del contest "Citazione necessaria" sulla piattaforma EFP.
E tanto vale festeggiare, perché sono arrivato secondo!
OK, saranno un gioco, ma questi contest mi stanno prendendo. Sul serio, rappresentano una sfida e uno stimolo a scrivere... anche perché, in fondo, un po' di sano spirito competitivo non può fare che bene, vero?
Ad ogni modo, ecco il link al racconto che ora ho potuto pubblicare. E' stato ispirato da una frase di Keats e rappresenta un mio esperimento di flusso di coscienza. Non è perfetto, anzi ha mille difetti e la giuria è stata fin troppo clemente con me, ma è così e così ve lo presento.
Buona lettura!

 

martedì 18 giugno 2013

Dramatis personae

La piccola orchestra di Ponte Sisto



Da un po' di tempo ho scoperto le persone.
Nel senso, mi piacciono e mi piacciono più delle cose. Me ne sono accorto da tanti piccoli particolari, ad esempio dalla fotografia. Sono ormai alcuni giorni che i soggetti delle mie foto su Instagram sono cambiati, passando da immagini astratte e senza nessuno dentro ad un abbozzo di quella che potremmo definire street photography. Dico abbozzo perché si tratta di un genere così complesso e difficile che quasi mi mette in soggezione.
Ad ogni modo, fotografo più gente. Fotografo la gente. Mi interessa sapere cosa li ha portati davanti alla mia fotocamera esattamente in quel momento e in quel punto e con quei gesti che ritraggo. Mi incuriosice carpirne i motivi, i pensieri, le parole dette e quelle non dette. Mi diverto a lasciar libera la mia fantasia, partendo dalla loro immagine e analizzando l'impatto che hanno su di me, sulla mia percezione. Ancora, ciò che possono suggerire anche al di là dei loro pensieri reali, gli stati d'animo che magari non hanno ma che arrivano ad un osservatore esterno.
Dunque, le persone. E non solo in quel che fotografo. Anche in ciò che scrivo - mai abbastanza, è ovvio, ma comunque sempre qualcosa - il mio interesse si è spostato dalla vicenda a coloro che la creano. Uso il fantastico e la fantascienza per approfondire l'indagine sull'animo umano, l'unica cosa che abbia realmente un senso in un universo che non fa altro che rimanere uguale fingendo di mutare ad ogni secondo.
Dall'oggetto sono passato (tornato?) al soggetto, compiendo una piccola rivoluzione copernicana nella mia personale filosofia di vita.
E una rivoluzione ogni tanto è salutare.

 

lunedì 10 giugno 2013

Il "fentasy", ovvero la morte del fantastico

No, non ho fatto un errore di battitura. La "e" di "fentasy" è voluta e ci sta tutta. Di che cosa sto parlando? E' presto detto.
Vi siete fatti un giro nelle librerie negli ultimi tempi? Intendo quelle grosse, tipo le Feltrinelli o le Mondadori. E più nello specifico, vi siete aggirati nei settori del fantasy? Ma sì, quei lunghi scaffali che un tempo erano relegati agli angoli bui, possibilmente sotto le scale, e che adesso occupano un intero corridoio, anche se spesso ancora non fanno distinzione tra fantasy e fantascienza? Oh, bene, partiamo proprio da questo improvviso allargamento, iniziato qualche anno fa. Non è sospetto?
Ecco, per l'appunto. Guardate bene quei titoli, leggete la quarta di copertina, magari date una scorsa a qualche pagina. E vi troverete di fronte a delle immani schifezze. Il lato più seccante di ciò? E' che generalmente i titoli peggiori sono di autori italiani.
Ora, il fantastico da noi ha sempre avuto una vita dura. Prima ignorato, poi deriso, poi ghettizzato e ora orribilmente "violentato" da una massa di tizi - spesso con età non superiori ai vent'anni, giusto per ribadire che in fondo il fantastico è pur sempre roba da bambini o ragazzetti - che definire scrittori è quasi una bestemmia. Non che anche all'estero non vi sia della suprema immondizia, questo è certo. Però in quel caso o si tratta di romanzi ambientati in universi molto specifici e spesso legati a giochi o film (serie nelle quali titoli mediocri si alternano ad opere oggettivamente interessanti, come nei romanzi di Star Trek, Guerre Stellari o Battletech), o comunque si riesce a mentenere un livello sintatticamente e grammaticalmente accettabile.
Da noi no. Da noi il 90 per cento della letteratura fantastica di produzione nazionale - un fenomeno prettamente commerciale, esploso dopo il successo della trilogia cinematografica del Signore degli Anelli e proseguito dopo serie come Harry Potter o Twilight, non solo non è di grande livello, ma è proprio scritta male. In un italiano sciatto, non corretto, di difficile comprensione. E le ambientazioni sono pure peggio, inni al favolistico stupideggiante (e alcuni osano a paragonarsi a mostri sacri come Ende o Lewis), con regni che paiono presi di forza dal più banale dei giochetti online che ci assillano su Facebook.
Ecco dunque a voi l'italico "fentasy".

Le orecchie a punta, divenute curiosamente punto di incontro tra fantasy e  fantascienza. La concezione del fantastico di molti autori di "fentasy" italiana non vanno tanto al di là di questo.

Che prima mi fa anche ridere, ma poi mi fa arrabbiare. Molto. Per due motivi.
Primo, la mancanza di rispetto. In vita mia ho letto molte opere di genere fantastico. Alcune belle e alcune brutte. Ma in nessuna di esse io venivo preso per i fondelli perché lettore del fantastico, e quindi prono ad accettare incongruenze logiche, contraddizioni interne, insulsa banalità dei personaggi. Perché alla fine della lettura di uno di questi testi (no, nomi non ne farò... tanto la situazione è così generalizzata che farei davvero prima a citarvi le eccezioni) io mi sento preso in giro da editing di pessima qualità, mappette assortite con le distanze messe a caso, lingue composte da y ed h mescolate alla come viene, background delle popolazioni fatti con lo stampino o evidenti superficialità nella composizione del testo e della storia. E alla fine, proprio perché cercando in giro è ancora possibile trovare del buon fantastico, sia tra i classici che tra i nuovi autori, io non me la bevo più la favoletta del fantastico italiano che muove i primi passi. Non concedo più l'attenuante della buona fede né agli editori, palesemente alla ricerca di nuove fonti di introiti facili che seguano la moda del momento (prima gli elfi, po i maghetti, poi i vampiri, poi gli angeli, ora gli zombie...), né tanto meno agli autori che infilano svarioni su svarioni perché sì, perché tanto è il fantastico e possiamo fare quello che vogliamo, il contenuto non è poi così importante. Vadano a leggersi gente come Asimov, Heinlein, Bradbury, Dick o perfino lo stesso Martin (che non eccelle in quanto a sostanza...) e poi ne riparliamo.
Secondo, l'arroganza. Perché secondo questi signori scrivere il fantastico è forse più facile, più accessibile, mentre è vero esattamente il contrario. Perché ritengono che nel fantastico non vi siano regole - ed è falso - come anche nella scrittura in fondo non vi sia alcuna tecnica da imparare - e questo invece è ridicolo - perché se usi la testa non segui più il cuore e quindi non sei più "fentasy". E così ci si bruciano opportunità incredibili, visto quanto poderoso è l'immaginario collettivo di questo Paese, quanto la tradizione mediterranea potrebbe dare al fantasy (quello vero) e quanto grande sia l'importanza della scienza in questo Paese (nonostante i suoi abitanti...). Se ci sono corpi celesti che portano il nome di Galilei, Cassini o Fermi un motivo ci sarà, no? O sarà un caso che l'asteroide Cerere, il più grande della fascia principale tra Marte e Giove, avesse come secondo nome Ferdinandea in onore di Ferdinando I delle Due Sicilie, visto che era stato scoperto nel 1801 da Giuseppe Piazzi? (Piccolo auto-spoiler: ricordatevi di Cerere e di Ferdinandea, perché li incontreremo spesso nei miei racconti di Radiant).

Ferdinando I di Borbone (1751-1825). D'accordo, come re non sarà stato il massimo, ma la soddisfazione di avere un asteroide nominato in suo onore se l'è tolta.

Ecco, dunque, i motivi della mia sincera rabbia nei confronti di queste persone, sia come lettore che come scrittore seppur solo dilettante. Perché il fantastico è un'altra cosa.
Il fantastico non è, e non sarà mai, il "fentasy".

lunedì 3 giugno 2013

Hurt Locker

Mi direte, che notizia è quella di aver visto finalmente un film del 2008, che se ne stava a fare la polvere nella memoria del mio MySky ormai da due anni?
D'accordo, tanto per cominciare, è un grandissimo film. Uno di quelli che li vedi e all'inizio pensi sia la solita americanata piena di azione, botti e soldati coraggiosi. Solo che questo inizio dura all'incirca trenta secondi, perché già al trentunesimo - con la scena della prima bomba, l'artificiere che si avvicina, i soldati che scrutano nervosi la strada, i civili che non sai se sono ostili o meno... e poi quello che succede... - uno si accorge di trovarsi di fronte a qualcosa di diverso. Azione, tensione, suspence quanta ne volete. Ma poi si va avanti e arrivano la storia, i personaggi, le emozioni. The hurt locker tratta soprattutto del dolore del soldato, del suo non adeguarsi alla vita normale, del suo scambiare la guerra con la pace e viceversa, del suo maldestro e pericoloso essere un eroe a tutti i costi, delle sue pene più recondite custodite in un proprio cassetto nascosto nel quale mettere ciò che lo ha quasi ucciso, come per disarmarlo, per renderlo innocuo. Tratta delle bombe più pericolose, quelle che ti esplodono in testa, ti devastano la vita e sono impossibili da disinnescare.

La cosa più incredibile di questa scena non è l'artificiere che estrae contemporaneamente dal terreno sei bombe collegate l'una all'altra. E' che tutta la sequenza gira attorno a due fili elettrici scoperti e ad una pila tascabile...

E poi c'è il secondo motivo. Ossia che da quando mi sono rimesso a scrivere in maniera regolare e soprattutto grazie al mio universo Radiant che voglio portare avanti con vari racconti, ho visto questo film con occhi diversi. L'ho analizzato alla ricerca di spunti, trovando quegli spiragli che mi permettessero di andare oltre la divisa, fino al cuore di chi la indossa. Diverso è stato dunque il mio sguardo, sollecitato da suggerimenti, intuizioni, ipotesi. Ritengo che scrivere - pur se a livello amatoriale - aiuti molto la lettura, anzi la modifichi: è un po' come andare in macchina una volta che hai cominciato a guidare anche tu, un'esperienza più attiva e consapevole.
Quanto a me, ciò che mi interessa ora è il pensiero di chi preme il grilletto, più dell'arma che usa o della divisa che indossa, futuristica o passata che sia.
Alla fine, credo che sia questa l'essenza della buona fantascienza, anzi della buona letteratura. Poi magari non ci si riesce, si è goffi, si creano solo grossi polpettoni di parole. Però ci si prova.

PS: E dopo tutto questo, dopo una disastrosa prima visione in cui stavo cedendo al sonno dopo la prima mezzora, magari potrei trovare vagamente interessante perfino La sottile linea rossa con tutti i suoi sproloqui esistenzialisti di ogni singolo soldato. Ma forse anche no.

PPS: Come nota di colore, The hurt locker, diretto da Kathryn Bigelow vinse l'Oscar nel 2010, battendo il favoritissimo (e stupidissimo) Avatar di James Cameron. La cosa carina è che la Bigelow è la ex moglie di Cameron (anche se sono rimasti in rapporti tanto buoni che fu proprio lui a convincerla a dirigere questo film dopo averne letto la sceneggiatura). Quando si dice una bella vendetta...